Guide: passo per passo
Copyright© 1998 Federica Guerrini
Gli hacker condividono un linguaggio o, come loro stessi lo definiscono, un gergo comune che è il vero e proprio sedimento della cultura hacker American-English: esso costituisce perciò il mezzo privilegiato di comunicazione istituzionale di tale controcultura sia al suo interno che verso l'esterno. Tale linguaggio, che è un sistema di segni deliberatamente opaco e allusivo, è determinante nella formazione dell'identità socio-culturale, ne è un elemento di aspettualizzazione, una sorta di marchio di unicità; è così come una finestra sulla cultura hacker che ne riflette la costante evoluzione.
Tramite Internet è possibile accedere al documento Jargon File: questo file ipertestuale, messo a disposizione per tutti gli utenti della Rete, nacque nel 1975 a Stanford e viene periodicamente aggiornato, per cui ne sono disponibili numerose versioni. E. Raymond mantiene attualmente questo File e da esso ha ricavato un libro "vero", un dizionario Hackerish-English di 1961 termini.
Il linguaggio informale tipico della cultura hacker è una potente arma di esclusione dalla comunità, ma anche di inclusione qualora sia d'ausilio come collante ideologico. Questo gergo colorito è sorprendentemente ricco di implicazioni, variazioni e sfumature sulla lingua inglese. "Parole come winnitude [la stoffa del vincente] e foo [nome simbolico che indica file, nomi o programmi] erano costanti del vocabolario hacker, scorciatoie usate da persone relativamente poco discorsive e introverse per comunicare esattamente quel che avevano in testa" (Levy 1996: 114). Mentre il linguaggio di una cultura si dice derivi inconsciamente dal proprio ambiente e lo rifletta (per esempio l'idea che gli Esquimesi abbiano trenta parole diverse per indicare la neve), l'invenzione e la creazione linguistica di nuove espressioni è per l'hacker un gioco cosciente e divertente: essi sono consapevoli che col loro rifiuto delle comuni pratiche linguistiche stanno anche sfidando e provocando le norme e le visioni del mondo dominanti. Il loro linguaggio è quindi un regno conflittuale dove opposte definizioni del mondo si contrappongono: l'identità linguistica si definisce come opposizionale, riflettendo cosa rigetta e nega.
In questo caso, il linguaggio non emerge inconsapevolmente dall'esperienza empirica, non riflette una mappatura oggettiva del mondo, ma è una sperimentazione spontanea e intenzionale, un laboratorio in continua e dinamica evoluzione, una sorta di continuo bricolage che non esiste solo per alienare l'outsider, ma soprattutto per esplorare nuove possibilità e opzioni rispetto al linguaggio ufficiale. Tale linguaggio non è solo produttore di senso positivo ma implica una sfida alle convenzioni linguistiche dominanti al livello della decodifica: una rinnovata "guerriglia semiologica" (Eco 1975: 199) che vuole demitizzare e decostruire l'ideologismo implicito nel codice dell'emittente, svelare i codici culturali naturalizzati e decifrare le strategie nascoste di dominio. Il discorso fatto dagli hacker, come anche la loro sperimentazione tecnica, è in continuo mutamento e riflette il desiderio di vedere i sistemi adattati agli ambienti dinamici della società dell'informazione: usando il loro gergo, gli hacker guidano letture del mondo verso direzioni nuove e inaspettate, testano e promuovono "percorsi di sviluppo", stili di vita alternativi intenzionalmente comunicativi e innovazioni significative nello stile popolare.
Sembra proprio che il processo generativo sottostante alla formazione di tale linguaggio abbia una logica così potente da creare parallelismi con altre sottoculture e linguaggi diversi: tale bricolage (Lévi-Strauss 1962: tr.it., 1964) coscientemente sovversivo deriva dall'incrocio e dall'appropriazione da culture giovanili precedenti, pop culture, realtà virtuale e mass media. E' un "linguaggio instabile del cut-up" (Scelsi 1994: 253), una pratica significante che seleziona e decontestualizza segni pre-esistenti, assemblandoli e riutilizzandoli, sia come creazione di nuovi discorsi, sia come forma critica. Innanzi tutto la generazione degli hacker degli anni Novanta ha ereditato la maggior parte dell'originale gergo hacker creato al MIT negli anni Sessanta, innestando, però, su di esso dei cambiamenti. Per esempio, ha introdotto termini mutuati dalla nuova fantascienza, soprattutto dal genere Cyberpunk, fusione di comunicazione elettronica e sottocultura punk; si è avvalsa dello stile visionario di Hakim Bey, pseudonimo di una figura misteriosa, artista d'avanguardia, guru della nuova opposizione che agisce con stile situazionista, anarchico, libertario, sempre in bilico tra avanguardia e opposizione. I "vecchi" hacker, invece, erano stati influenzati da autori fantastici come Tolkien e Caroll, dal loro immaginario fatto di elfi, hobbit, maghi, demoni e incantesimi. Lo stile di giocosa ribellione al dominio di un linguaggio tecnocratico permea la controcultura hacker e si riflette nell'uso frequente di giochi di parole, rime, contrazioni e ironia. Promiscuità stilistica ed eclettismo di codici, parodia, decostruzione, pastiche, collage, celebrazione della forma e dell'apparenza: questi sono, nella loro forma positiva, i mezzi linguistici esemplari di un attacco intellettuale alla cultura di massa atomizzata, passiva, indifferente che, attraverso la saturazione della tecnologia elettronica, ha raggiunto il suo zenith nell'America del dopoguerra.
L'appropriazione di materiali linguistici eterogenei, ma omologhi (Lévi-Strauss 1962: tr.it., 1964) ai valori di base degli hacker, provvede la controcultura di una struttura interna ordinata, regolare e coerente: tale unità strutturale, che unisce i partecipanti, provvede quindi il legame simbolico, l'integrazione tra valori e stili di vita del gruppo e come esso li esprima e rinforzi. E' l'affinità, la similarità linguistica che i membri condividono che fornisce loro la particolare identità culturale e che promuove la nascita di un sentimento di identità di gruppo, comunitario: con uno stile di continua insurrezione, la controcultura hacker costruisce la celebrazione dell'Alterità, di un'identità alternativa che comunica una diversità rispetto alla cultura dominante e che provvede un'unità ideologica per l'azione collettiva.
Indice 1. Introduzione 2. Definizione di Hacker 3. La controcultura Hacker 4. L'etica hacker: norme, valori, convinzioni 5. Le istituzioni "alternative" 6. Il gergo degli hacker 7. Spazi reali "liberati" e ambienti virtuali 8. Il rituale di iniziazione 9. L'identità di un "hacker per caso" 10. L'organizzazione sociale dell'underground informatico 11. Conclusione |
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