Accessibilità all'italiana
Sulla percezione degli effetti della legge Stanca e le reali conseguenze della normativa italiana sullo sviluppo di siti di interessse pubblico in Italia.
Se domandiamo a qualsiasi persona interessata alle tematiche della Rete se è obbligatorio realizzare pagine web accessibili, la risposta più probabile che potremo ricevere sarà una del tipo "per i siti privati no ma hanno fatto una legge che obbliga quelli di tipo pubblico ad essere visibili anche dai disabili..."
Se poniamo la stessa domanda a qualche altra persona non solo interessata alle tematiche di Internet in generale ma sensibile e appassionata alle questioni dell'accessibilità della comunicazione probabilmente ci sentiremo rispondere "hanno approvato la legge Stanca, appena sarà pubblicato in gazzetta il regolamento ci saranno gli obblighi di legge!".
Questa è la percezione di massa indotta sull'argomento accessibilità Web dall'enorme battage politico e pubblicitario che il governo ha messo in piedi negli ultimi due anni.
La realtà è ben diversa: la legge Stanca non obbliga nessun tipo di ente pubblico al rispetto di nessun parametro di accessibilità, forse perchè - fondamentalmente - non ci sono le risorse economiche per poterlo fare.
Vediamo di ricostruire tutta la vicenda sottolineando i passaggi maggiormente significativi di questa illusione mediatica.
Sull'accessibilità Web sono anni che il W3Consortium in tutte le lingue e in tutte le salse cerca di indottrinare generazioni di webmaster alla produzione di siti conformi agli standard internazionali e rispettosi delle esigenze dell'utenza finale ivi comprese quelle di utenza diversamente abile.
Nel 2001 sia l'Autorità per l'Informatica nella Pubblica Amministrazione (ex AIPA ora CNIPA) che il Ministro per la funzione pubblica emanano due circolari ricche ed articolate di indicazioni tecniche sufficienti per rendere un sito Web della pubblica amministrazione accessibile in senso lato.
Le due circolari non sono però sanzionatorie e soprattutto non vengono accompagnate da nessuna campagna mediatica - così come è successo per la legge Stanca - e quindi, di conseguenza non hanno nessun effetto sui webmaster della PA.
Arriva l'anno dei disabili e il Ministro Stanca decide di capitalizzare tutte quelle numerose iniziative (Palma-Campieri in primis) che vengono da più parti messe in piedi per sollecitare l'adozione di standard per l'accessibilità per i siti della Pubblica amministrazione e quelli di pubblico interesse (le ferrovie - ad esempio - che non fanno più parte integrante della PA ma continuano a rivestire un ruolo di pubblico interesse).
La legge viene annunciata, declamata, presentata, trasmessa a colori e stampata in bianco e nero fino a che la cosiddetta "pubblica opinione" non si convince - con qualche distinguo - che anche in Italia, finalmente, abbiamo una legge che garantisce anche sul Web quanto espresso dall'art. 3 della Costituzione:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese".
Tutti contenti, un altro miracolo italiano si è compiuto: senza soldi e risorse previste si è brillantemente risolto un diritto di nuovo tipo (accesso alle nuove tecnologie) ma di sapore antico (rispetto e uguaglianza fra cittadini diversamente abili).
Succede pero' che tale Lorenzo Spallino pubblica (anche) su webimpossibile.net un articolo che "illustra come la legge Stanca sull'accessibilità dei siti internet non imponga alle Pubbliche Amministrazioni di rendere accessibili i siti che attualmente non lo sono, quanto piuttosto stabilisca che gli eventuali contratti di modifica dei siti esistenti o di realizzazione di un nuovo sito prevedano il rispetto delle linee guida. Al tempo stesso, la legge punisce con la nullità i nuovi contratti stipulati in violazione di questo obbligo, con il rischio di conseguire una solo parziale realizzazione della dichiarata finalità di attuazione dell’art. 3 della Costituzione."
Apriti cielo, la disamina gira per forum e newsgroup di esperti dell'accessibilità che tutti intenti a scannarsi sull'efficacia dei 22 requisiti obbligatori previsti dall'articolato tecnico in corso di pubblicazione scoprono che in mancanza di soldi l'avveduto politico italiano ha deciso di innestare un meccanismo di controllo per la legge sull'accessibilità che - sinceramente - appare debole e soprattutto non di automatica attuazione per l'esistente. Il Re è nudo...
Rileggendo con attenzione la legge è facile infatti scoprire come se nei primi articoli si fa gloriosi richiami ai diritti universali, negli articoli che trattano degli "obblighi di legge" si prevede unicamente la nullità dei contratti che non prevedono l'ottemperanza dei requisiti di accessibilità (peraltro ancora non pubblicati in Gazzetta Ufficiale) ma nessuna forma di obbligo restauro dell'esistente in senso accessibile.
Più che una normativa sarà quindi la coscienza individuale di ogni singolo webmaster e le scelte politiche di ogni singola pubblica amminsitrazione ed ente locale a determinare il diritto di accesso all'informazione su Web di una persona cieca, ipovedente, sorda, disabile motoria o cognitiva che ha bisogno di portali costruiti ad hoc per poter essere correttamente interpretati magari con l'aiuto di ausili software o hardware.
Così, sulla legge sull'accessibilità Web come su molte altre questioni le persone preferiscono per pigrizia mentale accontentarsi di quello che si dice sui media o comunque sul passaparola superficiale: con questo articolo, speriamo a nostra volta di aver fornito alcuni elementi e strumenti al lettore per costruirsene una propria con autonomi mezzi di analisi e senso critico.
Tratto da Zeusnews.it
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