L'Fbi sequestra server Indymedia
Colpite le aziende dei siti in Usa e Gb
L'Fbi ha sequestrato i server di Indymedia, la rete di media indipendenti creata dal movimento no-global. Gli agenti si sono presentati, con un ordine federale emesso dalle autorità statunitensi, nella sede americana e in quella inglese di Rackspace, l'azienda che ospita i server in cui si trovano molti siti locali di indymedia, fra cui anche "italy.indymedia.org". Al momento l'organizzazione italiana non conosce le motivazioni dell'operazione.
Gli uomini mandati dai servizi Usa "hanno richiesto il sequestro delle due macchine ed hanno preteso la consegna dei dischi, portandoseli via", si legge sul sito italiano del network. "Attualmente non abbiamo informazioni ulteriori - spiega il comunicato - siamo in attesa di tornare online con una macchina di riserva, avendo attualmente perso molto del materiale". Sarebbe stato disconnesso a Rackspace anche il server Blag, che ospita trasmissioni live di diverse stazioni radio.
L'operazione dell'Fbi ha colpito più di 20 siti in tutto il mondo.La lista degli Indy Media Centers locali, che si sono visti sequestrare i propri hard disk, include Amazzonia, Uruguay, Andorra, Polonia, Massachusetts occidentale, tutta la Francia, il paese basco, Liegi, Belgio, Belgrado, Portogallo, Praga, Galizia, Italia, Brasile, Regno Unito, ed il sito della radio on-line di Indymedia.org.
News tratta da Tgcom.it
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3 commenti a "L'Fbi sequestra server Indymedia":
Il blocco dell'informazione è il primo passo verso l'autoritarismo, trovo vergognoso inoltre che a farlo sia lo Stato che si erge difensore dei deboli e portatore di democrazia. E' anche triste constatare come l'America, ancora una volta, si permette di esercitare il suo potere in altri stati.
l'azienda che gestisce i server è americana quindi deve seguire leggi americane ovunque metta i server
Due righe veloci sul caso Indymedia
[dalla newsletter di Paolo Attivissimo - (C) 2004 by Paolo Attivissimo
(www.attivissimo.net)]
Come probabilmente gia' sapete, i server inglesi di Indymedia, l'organizzazione
indipendente di raccolta di informazioni, sono stati sequestrati il 7 ottobre. I
server contengono numerose edizioni internazionali di Indymedia, compresa quella
italiana.
Comprensibilmente, molti hanno gridato allo scandalo e al complotto USA contro
la liberta'. Sarebbe molto bello se il mondo fosse davvero cosi' in bianco e
nero, ma le cose sono un po' piu' complicate. Vi vorrei dare qualche spunto
d'informazione e di riflessione, visto che qui, al di la' del caso specifico, e'
in gioco un equilibrio molto delicato: quello fra diritto all'informazione e
diritto alla privacy.
Innanzi tutto, molti hanno avuto l'impressione che l'FBI sia piombata in
Inghilterra e abbia fatto quello che le pareva. Calma un attimo: l'FBI non ha
giurisdizione nel Regno Unito. Deve chiedere alle autorita' di sicurezza locali,
come è successo in casi analoghi per l'arresto di vandali informatici. Puo'
assistere alle operazioni, ma non può agire
autonomamente. Quindi e' scorretto titolare "l'FBI sequestra i dischi di
Indymedia".
Ci sono accordi internazionali fra le forze di polizia appositamente
predisposti, che regolano i termini di queste collaborazioni e richiedono
comunque che il reato sia considerato tale dalle autorità locali. Non basta la
parola dell'FBI: ci vuole un ordine legale emesso secondo le leggi vigenti del
paese. Ovviamente, essendo i due paesi legati da una lunga tradizione di
collaborazione, un ordine legale di questo genere viene emesso abbastanza
facilmente.
Rackspace USA afferma che l'accordo in base al quale e' stato eseguito il
sequestro (senza notificare Indymedia) e' il Mutual Legal Assistance Treaty
(MLAT). Ne parla The Register qui (in inglese):
http://www.theregister.co ...
0/08/fbi_indymedia_raids/
Questo trattato, pero', definisce procedure di reciproca assistenza per i casi
di terrorismo internazionale, rapimento e riciclaggio di denaro. Ma Indymedia
non e' accusata di nessuno di questi crimini.
A dire la verita', non si sa neppure di cosa sia accusata. Tuttavia il silenzio
di Rackspace UK, e la mancata notifica a Indymedia, non sono atti di
prevaricazione autoritaria: sono obblighi della legge britannica, che vieta alle
parti in causa di discutere un provvedimento che le colpisce, per evitare di
interferire con le indagini e di coinvolgere persone che magari non c'entrano
nulla. Questo e' un fatto ben noto a chi si occupa d'informazione e informatica
in Inghilterra.
L'idea puo' piacere o non piacere, ma mi sembra indubbio che i responsabili di
Indymedia, consci di avere a che fare spesso con informazioni scottanti e
fastidiose per i potenti di turno, avrebbero dovuto riflettere piu' attentamente
prima di depositare i propri server in territorio inglese. Ci sono molti altri
paesi che offrono garanzie superiori. Inoltre, da un punto di vista strettamente
informatico, mi stupisce la mancanza apparente di un backup (Indymedia afferma
di aver "perso molto del materiale presente" sui propri server"):
http://italy.indymedia.org/index.php
Il muro di silenzio, comunque, non e' impenetrabile. C'e' infatti una teoria
abbastanza solida sulle possibili ragioni del sequestro.Secondo l'articolo di
The Register e il comunicato di Indymedia, disponibile in italiano presso
http://italy.indymedia.or ...
g/news/2004/10/660405.php
La ragione più probabile sarebbe la presenza, nella sezione Indymedia Nantes dei
server, di alcuni "articoli con nomi e facce di poliziotti svizzeri in borghese
infiltrati durante una manifestazione di piazza", quindi in un luogo pubblico.
L'FBI ne aveva richiesto la rimozione alcuni giorni fa, ma "il procedimento era
ancora in fase di formalizzazione al momento della sottrazione dei computer". La
richiesta sarebbe stata motivata, dice Hep Sano, rappresentante di Indymedia,
dal fatto che gli articoli "rivelavano informazioni personali" sui poliziotti in
borghese. Nessuna delle fonti direttamente interessate ha confermato l'ipotesi
di coinvolgimento delle autorita' italiane fatta da alcuni organi di stampa.
La pista elvetica sembra confermata da una dichiarazione di Rackspace a
Indymedia, citata da The Register: la richiesta proverrebbe appunto dalla
polizia svizzera. Indymedia ritiene che le foto fossero state rimosse dai server
prima del sequestro, ma ovviamente non puo' verificarlo, perche' i dati dei
server sono inaccessibili.
Se le cose stanno cosi', ci sono alcuni punti da ponderare. Indubbiamente il
sequestro integrale dei server e' una misura esagerata, perche' lede gravemente
il diritto all'espressione e all'informazione. Ma va considerato anche il
diritto di chi lavora nelle forze dell'ordine, e delle loro famiglie, a non
essere indicato per nome e cognome e indirizzo: e' lo stesso diritto che spetta
a ogni cittadino, e che nel caso di chi opera in settori delicati e' addirittura
rafforzato per ragioni fin troppo ovvie. Quel poliziotto in borghese che oggi
assiste a una manifestazione, domani potrebbe aver bisogno di tutelare il
proprio anonimato (e la vita dei propri figli) durante un'indagine antimafia.
Molti si lamentano dell'invasivita' delle telecamere di sorveglianza e non
desiderano essere ripresi, neppure nei luoghi pubblici, e lo considerano anzi un
diritto assoluto. Mi sta bene. Ma e' difficile conciliare questa lamentela con
la pubblicazione online di foto di persone con tanto di nome, cognome e
indirizzo, ritratte in un luogo pubblico. Un diritto e' un diritto, e non si
annulla soltanto perche' la persona coinvolta non la pensa come noi o perche' la
parte lesa non siamo noi ma e' qualcun altro.
Si fa in fretta ad accusare di prevaricazione e gridare al complotto
liberticida. Indubbiamente trovarsi la polizia in ufficio con un ordine di
sequestro non e' piacevole. Ma se le foto e i nomi e cognomi pubblicati online
fossero stati i vostri, non avreste reclamato a gran voce l'intervento di quelle
stesse forze dell'ordine per toglierli dalla Rete al piu' presto?
Forse, ripeto forse, sequestrare i server era la procedura legale piu' spiccia
per tutelare i diritti dei cittadini di cui era stata violata pericolosamente la
riservatezza. Forse, ripeto forse, Indymedia poteva riflettere prima di
commettere un atto di scorrettezza del genere.
Forse, ripeto forse, il torto sta da entrambe le parti, e dare la colpa a una
sola e' una scelta troppo semplice. E a molti piacciono le scelte semplici:
evitano la fatica di pensare.