I robot: come dire i veri trasformisti, ma con ferocia
I robot: come dire i veri trasformisti, ma con ferocia
In America li chiamano “the real transformers”. Lo scorso agosto, in un pomeriggio molto caldo, in visita a Boston, sono stato “presentato” al mio primo social-robot. Al robot, sviluppato da studenti laureati al mitico MIT (Massachusetts Institute of Technology), al di là del Charles River di Boston, è stato affibbiato il nome di Mertz.
Dietro gli occhi è dotato di una camera a sensori, programmati per “captare” i volti; quando ha trovato il mio, il robot avrebbe dovuto guardarmi direttamente per iniziare una sorta di conversazione. Ma quel giorno Mertz doveva essere fuori ordine, scontento, e uno dei suoi progettisti, una mora giovane donna di nome Lijin Aryananda, ha tentato di capire cosa c’era di errato nel robot. Da un lato Mertz stava diventando irrequieto, dall’altra Aryananda era sempre più frustrata ed io iniziavo a sentirmi un “guardone” dietro la tenda come il Mago d’Oz...
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